museo di San Domenico · Imola

NAIV/VAIN



“Dire che l’unico proposito proprio dell’arte è il piacere estetico non è denigrarla, perché l’arte non ha bisogno di alcuna giustificazione al di fuori di sé”.
Clement Greenberg, 1939

Credo che questa forma di considerare l’arte sia molto vicina a quella di Salvatori. In fondo che male c’è nel cercare la sua bellezza estetica e godere di questa?
E si puó farlo anche oggi, dopo Greenberg, rivisitando alcuni canoni classici e mischiandoli con simboli mediatici e culturali contemporanei. Quello di Salvatori è un formalismo attento a chi è venuto prima e a chi sta operando ora, all’arte classica, alle avanguardie e al contemporaneo. L’artista colleziona forme, misure e simboli in cattedrali, musei, gallerie e mercatini. Cattura istantanee, le amalgama con linguaggi mitologici, fiabeschi o pubblicitari, ricomponendo il tutto nelle sue sculture.
Collezionare arte così come linguaggi ed esperienze. Collezionare come forma di produzione. La ceramica diventa un mezzo per fotografare, registrare, archiviare la realtà vissuta, sentita e interpretata.
Il pensiero costante nella materia e la ricerca della perfezione nella rappresentazione portano Salvatori a costruire le mini-vicende dei suoi lavori, esercizi raffinati dove l’innocenza e l’ingenuità apparente dei personaggi è solo apparente (da qui il termine tedesco NAIV – ingenuo), trasformandosi in orgoglio e ironica vanità (da qui il termine inglese VAIN – vanitoso).
Quella di Salvatori è un’arte da museo ma anche da comodino. Un kitsch che alla fine deve fare i conti con l’arte alta così come uno scultore deve fare i conti con i grandi maestri. Alla fine un po’ li ridicolizza, ma in fondo li stima. E gli piacciono anche. Se da un lato la tradizione lo annoia, dall’altro non può farne a meno.

Chiara Cardinali





the pool nyc

“MIXELLANEOUS”


Andrea Salvatori mette alla berlina le “innocenti” statuine che affollano i mercatini e le vetrine degli antiquari, facendosi beffe dello stizzoso Winckelmann allorquando accusava la ceramica d'essere “quasi sempre usata per fare stupide bamboline”. L'inerzia di queste statuine, di evidente gusto kitsch, è prontamente sovvertita dall'artista, il quale dissipa l'indifferenza e la spensierata gaiezza delle comuni chincaglierie facendo ricorso a spargimenti di sangue, a irrefrenabili pulsioni erotiche o a ironici/irriverenti paradossi (che non di rado sfociano in veri e propri parossismi). Oltre a tingersi di preziosi accenni policromi, le diafane maioliche si sottopongono infatti all'interpolazione – sempre imprevedibile – delle terraglie invetriate, mésalliance con cui l'artista esprime il suo humour squisitamente grottesco.
Salvatori è l'autore di una lunga progenie di pachidermi, di mostri e di automi cibernetici che sono i testimoni/vittime designati di caustici aforismi. Sketchs intrisi di quel cinismo che abbiamo visto proliferare a macchia d'olio durante tutto il Novecento; cinismo che Ambrose Bierce ha definito essere una visione oggettiva, in grado di far vedere alle persone le cose come sono e non come dovrebbero essere. Volenti o nolenti viviamo nei veleni e nella nequizia della quotidianità, motivo per cui Salvatori ama setacciare i luoghi comuni per disconoscere il sensus genericus. L'artista opta semmai per l'infinita capacità della doppiezza (l'assurdo non fa forse da pendant con la realtà?).
Molti elefanti si sono succeduti nella ricerca dell'artista, meritano quindi d'essere ricordati quello con le ballerine che si dilettano/titillano con la proboscide e l'enorme fallo dell'animale, oppure i due pachidermi che si destreggiano in funambolici esercizi circensi. Dopo anni di seducenti affreuseté, nelle ultime sculture di Salvatori si evince una ironia più sottile, più tagliente. Si veda in questo senso l'enorme stella che nasce come esalazione di un cavallino (altrove, stelle analoghe avevano infilzato l'occhio di una nobildonna, così come violato lo sfintere di un piccolo putto alato); il drago sodomizzato da una candela che supinamente – seppur malvolentieri – accetta d'essere usato come candelabro; lo scheletro umano deriso dalla celebre Linea di Osvaldo Cavandoli; il cane da guardia che dissuase gli astronauti da eventuali tentativi di allunaggio; il blocco di calcestruzzo che è “piovuto” su uno sventurato passante... . Tante, differenti, effusioni macabre per ridere delle paure collettive e delle contraddizioni imposte da un'assurda provvidenza.
Dissipando l'indifferenza e la spensierata gaiezza di sculture piene di grazia e civetteria, la Porzellankrankheit di Salvatori [di]mostra come l'affezione di una malattia possa diventare morbosa epidemia: sedizioso corollario di atrocità e di piccole storie in cui l'ordinario sfocia nel puro delirio aneddotico. Con grande nonchalance e perizia tecnica, Andrea Salvatori riesce a immergerci nel mondo dell'immaginazione; in totale apnea, rimaniamo a guardare (non senza un certo sadismo) come potrebbero andare a finire le sue storie...


Alberto Zanchetta



galleria estro

 COLLEZIONE DI CERAMICHE


Per un vizio di forma, certuni non credono in quello che osservano ma solo in quello che si ostinano a voler vedere. Non aiuta di certo il lucore abbacinante della ceramica di Andrea Salvatori, un bianco perlaceo che rende ciechi di fronte all'apparenza. Apparenza traditrice, di quelle che si pregiano della sofisticheria rococò, di una manifattura tanto eccellente da distogliere l'attenzione, nascondendo così un'insidiosa morbosità.
Mediante interventi microfilologici, Salvatori scardina la logica predefinita di comuni porcellane, tra le più banali in commercio. Innesti di terraglia invetriata trasformano infatti coppie d'innamorati in amanti adulteri, innocenti fanciulli in serial killer mentre le loro premurose madri sembrano risentire del complesso di Madea. Le virtù sono devitalizzate, contraffatte in vizio, in un cinismo sessuale – corrotto, meschino – degno del divino Marchese. Nello sprezzo di quanto condannato dalla bibbia, l'apoteosi senza apologie di Salvatori smaschera incesti od adulteri, sodomie, evirazioni e promiscuità contro natura (se una ballerina protende estasiata le braccia sotto il fallo d'oro di un elefante, le altre sue compagne si deliziano con i rituali della Salomè palleggiandosi una testa decapitata, quella dell'artista che è novello Battista).
Il (de)generare dell'opera di Salvatori è del tipo gran guignolesco, con schizzi di sangue che si coagulano sul pizzo finemente intrecciato, ennesima leziosità a corredo delle ceramiche. Accenni policromi – oro magenta vermiglio ceruleo – impreziosiscono questa sua diafana maiolica che adagiata sui fronzoli dei merletti, ci riserva un sedizioso corollario di atrocità... gratuite: sia che si tratti di una madre che riceve in dono dalla propria figlia un pene reciso ad un uomo di colore, così di animali da compagnia – talaltre di neonati – accoltellati mentre erano affettuosamente cullati.
Piccole storie d'amore-odio, passione-violenza, il cui contesto viene (dis)turbato; in cui l'ordinarietà è deviata sessualmente e psicologicamente sfociando nel puro delirio aneddotico.
Tra insospettabili dissezioni anatomiche e dissacranti rivisitazioni della storia dell'arte, Salvatori mette in commistione l'epopea mitologica con il fumetto, i cartoni con i film, in una rivalsa ai danni delle favole scritte dai fratelli Griim e da Hans Christian Andersen, rese logore dalle inquietudini di un adolescente diventato adulto.


Alberto Zanchetta